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Mai come in questo 2020, i dati sono entrati prepotentemente nel quotidiano di ognuno di noi. Rappresentano infatti il mezzo con il quale monitorare gli andamenti e studiare i piani d’azione per contrastare la pandemia da Covid 19. In particolare, ha assunto centralità nel dibattito la capacità di ogni paese di archiviare, gestire e mettere in relazione la grande quantità di dati dalle origini più disparate.

In realtà, i big data ogni anno giocano un ruolo sempre più centrale, non solo in ambito sanitario, ma nella gran parte dei mercati e settori. Basta vedere come il mercato italiano degli analytics sia cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni, registrando una frenata nel solo 2020. In particolare, si è registrata una crescita del +23% nel 2018 e del +26% nel 2019, mentre è cresciuto del solo 6% nell’anno corrente.

Perché le aziende investono nell’organizzazione e nella gestione dei dati?

Innanzitutto, per valorizzare e migliorare le attività di customer engagement e customer care e più in generale, per aumentare la comprensione delle esigenze dei clienti, ma non solo. La gestione dei Big Data riguarderà sempre di più anche i flussi di dati lungo le fasi a monte della supply chain, e anche in questo caso l’efficacia d’utilizzo e analisi del patrimonio informativo sarà sempre più la chiave per gestire al meglio la capacità produttiva e distributiva.

Nonostante la quasi imprescindibilità per le aziende di adottare delle strategie data-driven, vi sono ancora diversi fattori che ne limitano l’impiego, in particolare in Italia.

Il mercato del nostro paese, infatti, secondo il report 2020 redatto dall’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano, è caratterizzato dalla presenza di aziende più “mature” nell’utilizzo dei dati e altre meno, che hanno frenato o posticipato progetti e investimenti in materia. Si tratta dunque di un mercato a due velocità, dove grandi aziende di software, infrastrutture e più in generale di servizi, sono al passo con la crescita e con l’espansione degli analytics (96% progetti data driven a livello di raccolta e valorizzazione dei dati), mentre tra le PMI, solo il 62% ha avviato progetti data-driven.

Quali sono i fattori che impediscono, soprattutto alle PMI, di formulare strategie data-driven?

Si tratta, sostanzialmente, di due aspetti limitanti:

  • la natura destrutturata dei dati;
  • la mancanza di competenze e di figure professionali.

In riferimento al primo caso, i Big data possono essere utilizzati per più analisi o ricerche, pertanto, la loro esigenza non è di essere strutturati, perché altrimenti verrebbe definita a priori l’informazione che essi potrebbero produrre. Non abbiamo quindi un documento informatico, ma dati grezzi, destrutturati, utili per scopi non definiti a priori e non programmabili. Tale natura destrutturata, determina numerose difficoltà nella conservazione, in particolare, una queste è la difficile mediazione linguistica e tecnica tra archivistica, informatica e legislazione che spesso ha cercato di trovare il giusto equilibrio tra le varie discipline.

Per quanto invece concerne il tema delle competenze in ambito big data, a più riprese le aziende italiane hanno manifestato difficoltà nel trovare profili professionali capaci di gestire gli analytics, probabilmente a causa della scarsa offerta di percorsi formativi ad hoc. Inoltre, il 77% delle grandi aziende segnala una carenza di risorse interne dedicate ai big data: fra queste, il 29% sopperisce a queste mancanze con il supporto di consulenti esterni, mentre il 48% considera necessaria l’internalizzazione delle competenze di analytics nel breve termine.

Analizziamo, quindi, alcuni dei profili più ricercati.

  • Data scientist: è la figura professionale che gestisce i dati grezzi e ne trae informazioni rilevanti per le diverse necessità aziendali: strategie di business, di marketing e di vendita, definizione di nuovi prodotti e servizi, ecc. Una laurea avanzata (come un master o un dottorato di ricerca) in informatica è solitamente richiesta per questo tipo di posizione.
  • Data engineer: sono gli ingegneri dei dati. Il loro lavoro consiste nell’ aggregare, analizzare e manipolare insiemi di big data. E’ anche questo un profilo molto tecnico, le attività comuni includono la creazione di algoritmi informatici, lo sviluppo di processi tecnici per migliorare l’accessibilità dei dati e la progettazione di report, dashboard e strumenti per gli utenti finali. Per questo tipo di posizione, è generalmente richiesta una laurea in informatica, ingegneria o un in campo correlato.
  • Data analyst: è colui che analizza e interpreta i dati, con l’obiettivo di  trasformarli in informazioni utili al business e al processo decisionale. Lavora a stretto contatto con i team di ingegneri al fine di  eseguire il data munging ( trasformare i dati grezzi in dati  utili per l’analisi/interpretazione) e ricavare informazioni dai dati.
  • Security engineer: sono gli ingegneri della sicurezza e hanno il ruolo di difendere i sistemi informatici aziendali da problemi e possibili attacchi. Creano e implementano piani di test per software e hardware e stabiliscono protocolli di protezione a più livelli per le reti informatiche. Per questa posizione è necessaria una laurea in ingegneria, informatica o un settore correlato e certificazioni di sicurezza industriale.
  • Database manager: sono i responsabili della cura e del miglioramento del database, eseguono la diagnostica e la riparazione del database danneggiato, esaminano le richieste aziendali per l’utilizzo dei dati, valutano le fonti di dati per migliorare l’alimentazione e aiutano a progettare e installare l’hardware di archiviazione. Generalmente è richiesta la laurea in tecnologia dell’informazione e un minimo di cinque anni in una posizione di leadership in un database.

In conclusione, possiamo affermare che nel nostro paese la strada per usare in modo strutturato ed efficace i big data è piuttosto tortuosa, anche se esistono casi interessanti, soprattutto in ambito sanitario e IOT. Sono ancora però numerosi i campi in cui le strategie non sono guidate dai dati, ad esempio in tema di mobilità, sostenibilità sociale e ambientale, sicurezza dei cittadini.

Un ruolo fondamentale per lo sviluppo degli analytics, infine, è giocato dalla Pubblica Amministrazione, che ancora fatica ad allinearsi ai trend delle grandi aziende, che in tutto il mondo mettono i big data al centro delle proprie strategie e dei propri processi decisionali.

Silvio Maddaloni, Tamer Nada